No al lucro cessante per la perdita di capacità produttiva se chi patisce i postumi dell’errore medico svolge un’attività intellettuale e non manuale.
Cassazione, sentenza 13687/12
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giovedì 30 agosto 2012
Attività intra moenia: non commette truffa il medico che svolge attività professionale senza l’autorizzazione dell’Asl. E’ necessario il raggiro.
Per la Corte di Cassazione integra il delitto di peculato la condotta del medico il quale, avendo concordato con l’azienda sanitaria lo svolgimento dell’attività intra-moenia, ometta il versamento dovuto all’azienda sanitaria medesima delle somme percepite dai pazienti brevi manu. Parimenti anche per i casi di c.d. intra moenia “allargata” (quale ad esempio la fattispecie sottesa al pronunciamento della Corte) ovvero l’attività prestata presso il proprio studio professionale e senza l’utilizzo di strumentazione o l’impiego di personale sanitario; la Corte chiarisce infatti che ciò che rileva più che l’attività professionale è la virtuale sostituzione del medico ai funzionari amministrativi preposti all’attività pubblicistica di riscossione delle somme presso gli sportelli di cassa dell’ente. Per quanto la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio non possa essere riferita al professionista che svolga attivita' intramuraria (la quale e' retta da un regime privatistico), detta qualita' deve essere attribuita a qualunque pubblico dipendente che le prassi e le consuetudini mettano nelle condizioni di riscuotere e detenere denaro di pertinenza dell'amministrazione (Sez. 6, Sentenza n. 2969 del 06/10/2004. Rv. 231474, Moschi). Secondo i giudici “in definitiva, l'imputato nel momento in cui si e' sostituito all'ente pubblico nel riscuotere le somme pagate dai pazienti, si trovava in possesso di denaro sicuramente (o almeno in parte) pubblico e, in questa veste, era sicuramente pubblico ufficiale, trattandosi di incarico in cui egli veniva sostanzialmente a sostituirsi ai funzionari dell'economato nel ricevere i pagamenti degli assistiti, e le somme da lui incassate erano senza dubbio (almeno in parte) possedute per ragioni di ufficio, avendo questa Corte gia' chiarito che queste ultime devono essere intese in senso lato si' da comprendere anche il possesso derivante da prassi o consuetudini invalse in un determinato ufficio (sez. 6, sent. 10-7-00, Vergine; sent. 10-4-01, La Torre”).
Cassazione Sez. VI Penale, sentenza 23 agosto 2012, n.33150
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Cassazione Sez. VI Penale, sentenza 23 agosto 2012, n.33150
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La Cassa di previdenza riscuote anche i contributi sui redditi dichiarati dal professionista come consulente.
Si allarga lo spettro delle attività svolte da professionisti i cui redditi sono soggetti al pagamento dei contributi. Per un ingegnere anche l’attività di consulente informativo e di amministratore di società commerciale obbliga ai versamenti Inarcassa. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 14684/2012, superando un bel po’ di giurisprudenza contraria che invece legava il pagamento alle sole “attività riservate ai professionisti” (Cass. 11154/2004; 3468/2005; da ultimo 1139/2012).
La Suprema corte però, con la pronuncia di oggi, “ritiene di dare continuità all’orientamento particolare (Cass. 20670/2004), per il quale è la oggettiva riconducibilità alla professione dell’attività in concreto svolta dal professionista - ancorché questa non sia riservata per legge alla professione medesima e sia, quindi, altrimenti esercitabile - a comportare l’inclusione dei relativi compensi tra i corrispettivi che concorrono a formare la base di calcolo del contributo soggettivo obbligatorio e del contributo integrativo dovuti alle Casse di previdenza”. “Con la precisazione che, a tal fine, - aggiunge la Corte - rileva anche la circostanza che la competenza e le specifiche cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscano sull’esercizio dell’attività in parola, nel senso che le prestazioni siano da ritenere rese (anche) grazie all’impiego di esse”. Una interpretazione, ricorda la Cassazione, “già suggerita dalla Corte costituzionale”, con la sentenza 402/1991, secondo cui per esercizio professionale “deve intendersi anche la prestazione di attività riconducibili, per la loro intrinseca connessione, ai contenuti dell’attività propria della libera professione”, rimanendone dunque escluse “solo quelle che non hanno niente in comune”. In definitiva, concludono gli ermellini quello che conta “è la connessione fra l’attività (da cui il reddito deriva) e le conoscenze professionali, ossia la base culturale su cui l’attività stessa si fonda”.
Corte di cassazione - Sezione lavoro - Sentenza 29 agosto 2012 n. 14684
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Contratti bancari, vessatoria la clausola che deroga al foro del consumatore anche se il cliente è un professionista.
In caso recupero di saldo negativo di un conto corrente assistito da apertura di credito intestato a un professionista si applica il foro del consumatore se la banca non dimostra il legame con l’attività professionale del cliente, in tal modo superando la presunzione legale di vessatorietà per la clausola che deroga al foro del consumatore. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 14679/2012 respingendo le doglianze di una banca secondo cui risultava dimostrato che il contratto era stato stipulato per l’esercizio dell’attività di ingegnere. Per la Suprema corte però l’istituto di credito non aveva allegato alcuna evidenza del legame con l’attività professionale. Come già chiarito dalla Cassazione (sentenza 15531/2011) la qualifica di consumatore, infatti, spetta unicamente alle persone fisiche, e qualora esse siano anche imprenditori o professionisti soltanto quando il contratto sia concluso “per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana”, estranee dunque all’esercizio delle attività economiche.
Corte di cassazione - Sezione VI civile - Sentenza 28 agosto 2012 n. 14679
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mercoledì 29 agosto 2012
Da oggi si può costituire la srl a un euro: si dovrà comunque versare l’imposta di registro di 168 euro
Per tutti gli under 35 è possibile, da oggi, aprire una Srl con il minimo investimento di un solo euro. La misura fa parte del decreto Cresci-Italia, trasformato in legge dello Stato lo scorso 24 marzo. Ora, a distanza di qualche mese, diventa finalmente operativa una delle norme più attese per stimolare la crescita laddove essa dimostra di essere più stagnante, nel bacino di quella “generazione perduta” che ormai non riesce a permettersi più neanche di sognare. Il testo porta la firma del Ministro della Giustizia Severino, del ministro dello Sviluppo Economico Passera e del titolare dell’Economia Grilli. Il loro intento è quello di dare con questa novità riuscirà nuova linfa ai giovani italiani, facendo scattare qualche innovativa molla imprenditoriale con il minimo esborso. Tutto quello che occorrerà, per avviare la propria attività, sarà prendere l’appuntamento dal notaio, aprendo così la società con capitale di un euro simbolico. Un bell’incentivo, più volte annunciato dai precedenti governi davanti ai microfoni, ma mai compiutamente realizzato. Anche nella cura Monti, però, un asterisco c’è e riguarda il versamento dell’imposta di registro di 168 euro, che non è stata esentata ai futuri “self made man”. L’attesa così lunga, da marzo, si spiega con la necessità di una stesura compiuta del regolamento sul modello standard dell’atto costitutivo e della disciplina statutaria, ultimo “check-point” prima del via libera alla norma pro giovani imprenditori. Per la stesura dell’organigramma societario, per i giovani imprenditori, sarà infatti sufficiente indicare le generalità dei vari soci, il nome della nuova attività, l’oggetto dell’esercizio e, da ultimo, il capitale sociale, con la postilla che vieta il trasferimento di quote societarie a soggetti al di sopra dei 35 anni di età. Ora, infine, il provvedimento è stato inserito in Gazzetta Ufficiale soltanto a ferragosto, a fianco delle importanti riforme estive. Una legge, quella a favore dei nuovi “Yuppies” che, comunque, non dimentica i più attempati, come spiega il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà che, incalzato dalla comunità di Twitter, ha voluto precisare come “anche chi ha più di 35 anni potrà costituire la Srl con un euro, ma dovranno pagare le spese notarili”. L’aggiornamento della disciplina anche agli over 35, ha spiegato l’ex vertice Antitrust, è stato incluso nel testo definitivo del decreto sviluppo, approvato in maniera definitiva dalle Camere a ridosso della pausa estiva. A questo proposito, viene introdotta in ordinamento la tipologia della Srlcr, cioè “a capitale ridotto”, che non avrà l’obbligo di seguire a menadito il modello standard inserito nello statuto. Quando, invece, saranno i giovani a soffiare su 35 candeline con la società già decollata, restano due strade per il proseguo dell’attività intrapresa. Nella prima eventualità, trasformare, come per i più “vecchietti”, la società in Srlcr, Srl ordinaria o altra forma di ente societario; nel secondo, di converso, può passare di mano le proprie quote di capitale a un socio più giovane anagraficamente, scelta che, comunque, comporterebbe giocoforza l’uscita del fondatore originario dalla compagine aziendale.
Incidenti stradali, niente risarcimento ai trasportati non indicati nel Cid
Il modello deve riportare i nomi di tutti i danneggiati.
Giudice di Pace di Perugia, sentenza del 6.6.12
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Giudice di Pace di Perugia, sentenza del 6.6.12
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Si configura il falso per chi parcheggia utilizzando la fotocopia di un permesso per invalidi.
La contraffazione non punibile è solo quella evidente a tutti, mentre oggi la tecnologia consente di formare titoli quasi identici all’originale.
Cassazione, sentenza 33214 del 23.8.12
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Cassazione, sentenza 33214 del 23.8.12
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martedì 28 agosto 2012
Cassazione: dirigenti di Fincantieri rispondono di omicidio colposo per la morte del lavoratore esposto all’amianto anche se il decesso avviene in tarda età
I dirigenti dell’azienda posti in posizione di responsabilità rispondono di omicidio colposo per la morte del lavoratore esposto all’amianto anche se il decesso avviene in tarda età. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 33311/2012. Per la Corte “è ovvio che a configurare il delitto di omicidio è bastevole l’accelerazione della fine della vita. Pertanto, di nessun significato risulta l’affermazione che taluna delle vittime venne a decedere in età avanzata. La morte infatti costituisce limite certo della vita e a venir punita è la sua ingiusta anticipazione per opera di terzi, sia essa dolosa che colposa”. Secondo i giudici, infatti, sussiste “il nesso di causalità tra l’omessa adozione da parte del datore di lavoro di idonee misure di protezione e il decesso del lavoratore in conseguenza della protratta esposizione alle polveri di amianto, quando, pur non essendo possibile determinare l’esatto momento dell’insorgenza della malattia, deve ritenersi prevedibile che la condotta doverosa avrebbe potuto incidere positivamente anche solo sul tempo di latenza”.
In un altro passaggio si legge che: “L’uso dell’amianto in Fincantieri era talmente diffuso … da non potersi considerare la sua pericolosità per la salute dei lavoratori questione alla quale taluno dei chiamati qui in responsabilità poteva dirsi estraneo, perché investito di un livello di vigilanza di più generale profilo”. Ragion per cui “correttamente è stata ritenuta la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa”. E neppure vale come esimente l’asserita inerzia dell’Inail e delle autorità sanitarie locali, infatti, per la Corte le dimensioni dell’impresa, la vasta esperienza, le competenze di settore, il possesso di congrui titoli di studio da parte dei soggetti chiamati a rispondere erano sufficienti a far cogliere l’elevata rischiosità per la salute delle lavorazioni svolte.
Corte di cassazione - Sezione IV penale - Sentenza 27 agosto 2012 n. 33311
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E-commerce, è truffa mettere un’inserzione di vendita su un sito noto senza poi consegnare il bene
L’affidamento del consumatore a un portale serio fa scattare non solo la responsabilità civile ma anche quella penale. Tribunale di Trento, sentenza del 5.5.12
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Cassazione: semilibertà esclusa per il detenuto pregiudicato anche se c’è chi gli offre un posto di lavoro
Contano i gravi precedenti e i procedimenti in corso a carico del recluso: nell’alternativa al carcere priorità a misure meno impegnative.
Cassazione, sentenza 33300 del 27.8.12
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Cassazione, sentenza 33300 del 27.8.12
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venerdì 24 agosto 2012
Autocertificare un reddito più basso configura il reato di falsità ideologica.
Autocertificare un reddito più basso configura il reato di falsità ideologica.
Cassazione, sentenza 33218 del 23.8.12
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giovedì 23 agosto 2012
Riforma delle professioni, le disposizioni specifiche per l'accesso alla professione di avvocato
Il D.P.R. 137 del 7 agosto 2012 (G.U. 14-8-2012, n. 189), al Capo II (articoli 9 e 10) reca specifiche disposizioni concernenti gli avvocati.
In particolare, l’articolo 9 stabilisce l’obbligo per l’avvocato di avere un domicilio professionale nell’ambito del circondario di competenza territoriale dell’ordine presso cui è iscritto, salva la facoltà di avere ulteriori sedi di attività in altri luoghi del territorio nazionale.
Il successivo articolo 10 stabilisce invece che:
a) il tirocinio forense può essere svolto presso l’Avvocatura dello Stato o presso l’ufficio legale di un ente pubblico ovvero privato quando autorizzato dal Ministro della giustizia vigilante o presso un ufficio giudiziario, per non più di 12 mesi. La prevista autorizzazione del Ministro della giustizia appare di per sé idonea a garantire l’adeguatezza dello studio presso cui può essere svolto il tirocinio;
b) il tirocinio deve in ogni caso essere svolto per almeno sei mesi presso un avvocato iscritto all’ordine o presso l’Avvocatura dello Stato o presso l’ufficio legale di un ente pubblico o di un ente privato autorizzato dal Ministro della giustizia;
c) l’attività di praticantato presso gli uffici giudiziari dovrà essere disciplinata con regolamento del Ministro della giustizia da adottarsi entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto, sentiti gli organi di autogoverno delle magistrature e il consiglio nazionale forense. I praticanti presso gli uffici giudiziari assistono e coadiuvano i magistrati che ne fanno richiesta nel compimento delle loro ordinarie attività anche con compiti di studio, e ad essi si applica l’art. 15 del T.U. 3/1957 sul segreto di ufficio. Al termine del periodo di formazione il magistrato designato dal capo dell’ufficio giudiziario redige una relazione sull’attività e sulla formazione professionale acquisita, che viene trasmessa al consiglio dell’ordine competente. Si precisa che ai predetti soggetti non compete alcuna forma di compenso, di indennità, di rimborso spese o di trattamento previdenziale da parte della pubblica amministrazione. Il rapporto non costituisce ad alcun titolo pubblico impiego;
d) il diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali di cui all’art.16 D.Lgs. 398/1997, è valutato ai fini del compimento del tirocinio per l’accesso alla professione di avvocato per il periodo di un anno;
e) il praticante può, per giustificato motivo, trasferire la propria iscrizione presso l’ordine del luogo ove intende proseguire il tirocinio. Il consiglio dell’ordine autorizza il trasferimento, valutati i motivi che lo giustificano, e rilascia al praticante un certificato attestante il periodo di tirocinio che risulta regolarmente compiuto;
f) il praticante avvocato, infine è ammesso a sostenere l’esame di Stato nella sede di corte di appello nel cui distretto ha svolto il maggior periodo di tirocinio. Quando il tirocinio è stato svolto per uguali periodi sotto la vigilanza di più consigli dell’ordine aventi sede in distretti diversi, la sede di esame è determinata in base al luogo di svolgimento del primo periodo di tirocinio.
In particolare, l’articolo 9 stabilisce l’obbligo per l’avvocato di avere un domicilio professionale nell’ambito del circondario di competenza territoriale dell’ordine presso cui è iscritto, salva la facoltà di avere ulteriori sedi di attività in altri luoghi del territorio nazionale.
Il successivo articolo 10 stabilisce invece che:
a) il tirocinio forense può essere svolto presso l’Avvocatura dello Stato o presso l’ufficio legale di un ente pubblico ovvero privato quando autorizzato dal Ministro della giustizia vigilante o presso un ufficio giudiziario, per non più di 12 mesi. La prevista autorizzazione del Ministro della giustizia appare di per sé idonea a garantire l’adeguatezza dello studio presso cui può essere svolto il tirocinio;
b) il tirocinio deve in ogni caso essere svolto per almeno sei mesi presso un avvocato iscritto all’ordine o presso l’Avvocatura dello Stato o presso l’ufficio legale di un ente pubblico o di un ente privato autorizzato dal Ministro della giustizia;
c) l’attività di praticantato presso gli uffici giudiziari dovrà essere disciplinata con regolamento del Ministro della giustizia da adottarsi entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto, sentiti gli organi di autogoverno delle magistrature e il consiglio nazionale forense. I praticanti presso gli uffici giudiziari assistono e coadiuvano i magistrati che ne fanno richiesta nel compimento delle loro ordinarie attività anche con compiti di studio, e ad essi si applica l’art. 15 del T.U. 3/1957 sul segreto di ufficio. Al termine del periodo di formazione il magistrato designato dal capo dell’ufficio giudiziario redige una relazione sull’attività e sulla formazione professionale acquisita, che viene trasmessa al consiglio dell’ordine competente. Si precisa che ai predetti soggetti non compete alcuna forma di compenso, di indennità, di rimborso spese o di trattamento previdenziale da parte della pubblica amministrazione. Il rapporto non costituisce ad alcun titolo pubblico impiego;
d) il diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali di cui all’art.16 D.Lgs. 398/1997, è valutato ai fini del compimento del tirocinio per l’accesso alla professione di avvocato per il periodo di un anno;
e) il praticante può, per giustificato motivo, trasferire la propria iscrizione presso l’ordine del luogo ove intende proseguire il tirocinio. Il consiglio dell’ordine autorizza il trasferimento, valutati i motivi che lo giustificano, e rilascia al praticante un certificato attestante il periodo di tirocinio che risulta regolarmente compiuto;
f) il praticante avvocato, infine è ammesso a sostenere l’esame di Stato nella sede di corte di appello nel cui distretto ha svolto il maggior periodo di tirocinio. Quando il tirocinio è stato svolto per uguali periodi sotto la vigilanza di più consigli dell’ordine aventi sede in distretti diversi, la sede di esame è determinata in base al luogo di svolgimento del primo periodo di tirocinio.
lunedì 20 agosto 2012
Sanzioni via posta elettronica certificata (PEC) e con lo sconto. Due disegni di legge di riforma del codice della strada all'esame del Parlamento
Utilizzo della posta elettronica certificata per notificare le multe stradali senza addebito delle spese. Sconto sulle sanzioni se il pagamento viene effettuato entro cinque giorni dalla contestazione della violazione. È questo l'obiettivo comune dei due disegni di legge di riforma del codice della strada all'esame del Parlamento e in via di approvazione.
Da un lato il ddl C 4662 recante «Delega al governo per la riforma del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285», dall'altro il ddl C 5361 recante «Modifiche al codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di veicoli, di accertamento della guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti, di pagamento delle sanzioni e di effetti della revoca della patente». Ed è proprio quest'ultimo disegno di legge, presentato recentemente da Mario Valducci, presidente della commissione trasporti della camera, ad avere le maggiori probabilità di via libera anche in tempi brevi, presumibilmente entro l'autunno.
Disegno di legge Valducci. Il ddl C 5361 Valducci, in corso di esame alla commissione trasporti della camera in sede referente (alla quale potrebbe essere assegnato in sede deliberante per accelerare l'iter di approvazione), prevede una serie di interessanti novità per adeguare alcune procedure stradali alle moderne tecnologie, con snellimento delle procedure e minori aggravi di spesa sia per l'utente che per l'organo accertatore. In primo luogo, il disegno di legge prevede l'emanazione di un decreto con il quale dovranno essere stabilite le procedure per la notificazione delle multe stradali tramite posta elettronica certificata nei confronti dei trasgressori abilitati all'utilizzo della pec, senza addebito delle spese di notificazione. Si tratterebbe in sostanza di regolamentare in dettaglio una nuova procedura semplificata di notificazione dei verbali, dentro la cornice normativa attualmente delineata dall'art. 201 del codice della strada e dall'art. 149-bis del codice di procedura civile.
Altra novità interessante è rappresentata dalla riduzione dell'importo della sanzione, se il trasgressore effettuerà il pagamento entro cinque giorni dalla data della contestazione. Per esemplificare, per la violazione di un divieto di transito la sanzione di 80 euro scenderà a 64 euro. Per il superamento dei limiti di velocità di oltre 60 km/h la sanzione di 779 euro lo sconto per il pagamento entro cinque giorni sarà di 155 euro. Il disegno di legge prevede anche la possibilità per il trasgressore di pagare immediatamente sulla strada all'agente accertatore, qualora questi sia munito dell'apposito terminale per carte di credito o di debito. Novità importanti anche per l'accertamento della guida sotto l'influenza di droghe. Il personale sanitario potrà prelevare campioni di saliva quando si avrà il fondato sospetto che il conducente abbia fatto uso di sostanze stupefacenti.
Attualmente il prelievo di mucosa del cavo orale è invece consentito solo quando il conducente si trovi sotto l'effetto delle droghe. Qualora il prelievo non possa essere fatto nell'immediatezza del controllo, il conducente sarà sottoposto al prelievo di campioni di fluido del cavo orale o di sangue. Se gli accertamenti effettuati al momento del controllo oppure successivamente presso strutture sanitarie daranno esito positivo, il conducente sarà considerato in stato di alterazione psico-fisica con la conseguente applicazione delle sanzioni previste dall'art. 187 del codice della strada, senza più la necessità che l'alterazione venga provata dal personale medico. La revisione della patente sarà disposta anche quando gli accertamenti strumentali e analitici forniranno esito positivo ma non sia possibile rilevare lo stato di alterazione psico-fisica.
Il disegno di legge prevede poi un inquadramento normativo (attualmente assente) dei veicoli elettrici con bilanciamento assistito (i cosiddetti segway). Per questo il ddl andrà a modificare l'art. 50 del codice della strada, assimilando alle biciclette «i mezzi elettrici, concepiti per il trasporto di una sola persona di età non inferiore a sedici anni, con bilanciamento assistito ovvero dotati di due ruote in asse, con sistemi e sottosistemi di sicurezza ridondanti, che hanno una velocità massima di 20 km/h con possibilità di autolimitazione a 6 km/h». Per quanto riguarda gli autocaravan, il ddl prevede che, ai fini del calcolo della massa massima, non sarà considerato il peso degli accessori e delle attrezzature di bordo, quando questi non superino complessivamente il peso di 1,5 tonnellate.
Ciò per consentire di guidare gli autocaravan con la patente di categoria B anche quando la massa superi i 3.500 kg. Mano pesante nei confronti del conducente che, in caso di sinistri stradali, causerà per colpa la morte di una persona. Infatti, il disegno di legge, incidendo sulla disciplina in materia di revoca della patente di guida come sanzione accessoria, prevede che, nei casi di omicidio colposo di cui all'articolo 589, secondo e terzo comma, del codice penale, sia sempre disposta la revoca della patente di guida. Attualmente invece è prevista la sospensione della licenza di guida per quattro anni e la revoca soltanto in presenza di un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l o di assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope. Oltre a ciò, il disegno di legge prevede che per cinque anni il trasgressore non potrà conseguire nuovamente la patente; tale periodo di inibizione salirà a quindici anni nei casi in cui il trasgressore compia il fatto in stato di ebbrezza alcolica grave oppure sotto l'effetto di droghe.
venerdì 17 agosto 2012
L'UE pensa alle sigarette senza logo
Nei giorni scorsi l’Australia ha approvato una legge che vieta la stampa dei loghi sui pacchetti di sigarette. Tutte le sigarette avranno una stessa confezione di colore olivastro. Inoltre dovranno riportare informazioni sui danni che il fumo arreca. La decisione mina gli introiti delle grandi multinazionali. Inoltre secondo queste ultime, darebbe spazio al contrabbando di tabacco. Anche l’Unione Europea, attraverso un suo portavoce, ha fatto sapere che un provvedimento simile potrebbe essere messo in pratica in Europa a partire dal prossimo autunno. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il fumo è “una delle più grandi minacce per la salute pubblica che il mondo abbia mai affrontato”. Il fumo provoca il cancro ai polmoni e malattie respiratorie croniche, oltre a quelle cardiovascolari che sono la prima causa di morte per malattia nel mondo. Le cifre dell’OMS parlano di 8 milioni di decessi all’anno entro il 2030 se la situazione resterà così com’è. Dopo la sentenza australiana contro il ricorso dei giganti del tabacco alla legge contro i pacchetti di sigarette tutti uguali la Commissione Europea attraverso il portavoce Antony Gravili ha detto che sta seguendo la vicenda da vicino. Infatti in autunno dovrà essere presentato il nuovo piano contro il fumo che sostituirà quello del 2001. Gravili ha dichiarato: “Stiamo lavorando ad una proposta di revisione della direttiva (UE) sui prodotti del tabacco. Saranno discusse molte cose tra cui la possibilità di imballaggi tutti uguali.” Ha aggiunto, riferendosi alle avvertenze sanitarie grafiche attualmente richieste sul retro dei pacchetti di marca in Europa: “Una delle cose che stiamo prendendo in considerazione è, ad esempio, rendere l’immagine sulla confezione più grande.” Coloro che sono contrari al fumo sostengono che un’operazione del genere eviterebbe l’effetto del marchio sui giovani. L’ipotesi è che il marchio della sigaretta diventi una moda così come possono esserlo le scarpe, e che, attraverso questo meccanismo, ci si possa poi assuefare al fumo. Le grandi multinazionali sostengono invece che i paccheti di sigarette tutti uguali, oltre a violare il diritto di proprietà intellettuale, faciliterebbero il mercato di contrabbando delle sigarette. C’è poi un altro aspetto non di poco conto: le grandi multinazionali sostengono che venga leso il diritto al libero mercato perchè si dovrebbero cambiare gli imballaggi a seconda dei paesi. Anche la Gran Bretagna sta valutando l’ipotesi degli imballaggi uguali, considerando i vari aspetti legislativi. A breve dovrebbe decidere sull’oportunità di procedere con la legislazione o meno. L’OMS si augura che la decisione australiana abbia un effetto domino: infatti anche la Nuova Zelanda, il Canada e l’Irlanda stanno valutando se adottare provvedimenti simili.
lunedì 13 agosto 2012
Riforma delle professioni: in realtà non cambia nulla...se non in peggio!
La riforma delle professioni è arrivata in porto. Manca ormai solo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale: questione di giorni, se non di ore, e poi si potranno forse mettere i titoli di coda su un film ormai inguardabile. La vera notizia è che è stata sconfitta la volontà di Confindustria e dei poteri forti di fare terra bruciata del mondo delle professioni per impossessarsi del mercato dei servizi ad alto valore aggiunto.
Ci hanno provato in tutti i modi. L’ultimo assalto è stato portato partendo dalla Bce e dalla lettera del 5 agosto 2011 con la quale si chiedeva, tra l’altro, la liberalizzazione dei servizi professionali. Il governo italiano, che in quel momento non era in grado di opporre alcuna resistenza, ha risposto con il decreto legge 138 del 13 agosto 2011 e, un anno dopo, con un dpr attuativo, appena firmato dal presidente Napolitano. Anche questa volta, dopo mesi di polemiche durissime, le ragioni delle professioni hanno avuto la meglio contro un liberismo di facciata messo lì solo per mascherare interessi ben precisi. In pratica si è finito per regolamentare a livello normativo una serie di prassi che, in vario modo, è già vigente da anni nel mondo delle professioni. Vediamo qualche esempio: la formazione. A parte gli ingegneri e gli agrotecnici, tutte le altre professioni avevano già da anni norme precise in materia, che sono state confermate dalla riforma Severino. Per quanto riguarda il tirocinio, solo consulenti del lavoro, avvocati e commercialisti avevano un tirocinio più lungo dei 18 mesi attualmente previsti come limite massimo, ma i commercialisti già consentivano di fare due anni su tre durante gli anni dell’università. Molte professioni tecniche avevano un tirocinio di durata inferiore o non l’avevano affatto: in questi casi la nuova disciplina, in contrasto con i suoi obiettivi, finisce per ritardare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Ancora, per quanto riguarda la pubblicità informativa la norma del 2006 era già chiarissima nel togliere ogni vincolo sulla pubblicità, quindi già oggi i professionisti sono liberi di farsi pubblicità. Con il decreto Severino ci si limita a regolamentare qualche dettaglio in più. L’unica vera novità è quindi quella relativa al procedimento disciplinare, che affida ad un organismo diverso dall’ordine il controllo sul rispetto delle regole da parte dei professionisti. Un po’ poco per una riforma che ha ammorbato l’aria per più di 10 anni.
Ci hanno provato in tutti i modi. L’ultimo assalto è stato portato partendo dalla Bce e dalla lettera del 5 agosto 2011 con la quale si chiedeva, tra l’altro, la liberalizzazione dei servizi professionali. Il governo italiano, che in quel momento non era in grado di opporre alcuna resistenza, ha risposto con il decreto legge 138 del 13 agosto 2011 e, un anno dopo, con un dpr attuativo, appena firmato dal presidente Napolitano. Anche questa volta, dopo mesi di polemiche durissime, le ragioni delle professioni hanno avuto la meglio contro un liberismo di facciata messo lì solo per mascherare interessi ben precisi. In pratica si è finito per regolamentare a livello normativo una serie di prassi che, in vario modo, è già vigente da anni nel mondo delle professioni. Vediamo qualche esempio: la formazione. A parte gli ingegneri e gli agrotecnici, tutte le altre professioni avevano già da anni norme precise in materia, che sono state confermate dalla riforma Severino. Per quanto riguarda il tirocinio, solo consulenti del lavoro, avvocati e commercialisti avevano un tirocinio più lungo dei 18 mesi attualmente previsti come limite massimo, ma i commercialisti già consentivano di fare due anni su tre durante gli anni dell’università. Molte professioni tecniche avevano un tirocinio di durata inferiore o non l’avevano affatto: in questi casi la nuova disciplina, in contrasto con i suoi obiettivi, finisce per ritardare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Ancora, per quanto riguarda la pubblicità informativa la norma del 2006 era già chiarissima nel togliere ogni vincolo sulla pubblicità, quindi già oggi i professionisti sono liberi di farsi pubblicità. Con il decreto Severino ci si limita a regolamentare qualche dettaglio in più. L’unica vera novità è quindi quella relativa al procedimento disciplinare, che affida ad un organismo diverso dall’ordine il controllo sul rispetto delle regole da parte dei professionisti. Un po’ poco per una riforma che ha ammorbato l’aria per più di 10 anni.
domenica 12 agosto 2012
Oltre 1.300.000 firme raccolte per il referendum anti-casta
Per l’esattezza, 1.305.639. Ora è ufficiale: questo è non semplicemente il numero di firme raccolte in tutta Italia, ma il numero di firme già certificate (e, quindi, valide) che hanno sottoscritto la richiesta referendaria di abrogazione dell’Art. 2 della Legge 31 Ottobre 1965, n. 1261 e denominata “Tagli agli stipendi d’oro dei parlamentari“. A due settimane esatte dalla chiusura della campagna di raccolta firme (il termine ultimo era stato fissato lo scorso 30 luglio 2012) arriva la conferma ufficiale, da parte del Comitato promotore, del numero di firme pronte per essere depositate in Cassazione: “Le firme sono valide, certificate dal notaio. Le consegneremo a gennaio 2013″. Un numero impressionante, che ha superato ampiamente il numero minimo necessario per presentare richiesta di referendum (pari a 500.000 firme). Un vero successo, al di là di ogni più rosea previsione, se si considera il fatto che è stato raggiunto senza il supporto dei media nazionali e malgrado l’ostracismo di molti detrattori dell’iniziativa. Il referendum, lo ricordiamo, ha come l’obiettivo abolire l’indennità che i parlamentari percepiscono – si parla di circa 3.000 euro al mese a testa – per vivere a Roma, nonostante molti di essi abbiano già la residenza nella Capitale. “1.305.639 è un numero che racchiude un forte segnale politico” ha dichiarato Maria Di Prato, coordinatrice nazionale di Unione Popolare (unico componente il Comitato referendario). ”Un desiderio primario dei cittadini. Un desiderio forte e già palese ma ora, col conforto numerico, diventato incontrovertibile. Un risultato che dimostra in modo nitido il profondo solco creatosi tra classe politica e popolo. Un pieno dissenso dei cittadini tutti che non si sentono più rappresentati dagli attuali politici. Mai prima d’ora si era visto un movimento, che vive esclusivamente di autofinanziamento, conquistare un simile risultato”, sottolinea Di Prato (nella foto sotto, al centro). Di Prato, inoltre, tranquillizza tutti i firmatari e conferma che la procedura è valida: secondo 11 costituzionalisti interpellati dagli stessi organizzatori, è tutto regolare. Tuttavia, il Comitato promotore si appella ora al Governo e ai Presidenti di Camera e Senato, esortandoli ad intervenire al più presto ”affinché la volontà popolare sia rispettata e si proceda, quindi, all’immediata abolizione della diaria del parlamentari”, senza aspettare la consultazione popolare, mettendo così a tacere chi li accusa di voler incassare i rimborsi referendari. E’ vero che per ogni firma raccolta un comitato referendario percepisce 0,52 centesimi, ma solo se un referendum viene indetto e solo se si raggiunge il quorom (cioè 50% +1 degli aventi diritto). E su questo punto, Di Prato ribadisce: “Come più volte dichiarato, Unione Popolare ha deciso di rinunciare ai rimborsi“. La speranza del Comitato promotore è di non dover andare alla consultazione diretta dei cittadini, in modo da risparmiare denaro pubblico che andrebbe utilizzato per risolvere problemi più urgenti per il Paese: “Sappiamo che i referendum hanno un costo. Mi auguro che chi comanda capisca che i sacrifici sono di tutti e che procedano con il diminuirsi lo stipendio“, ha sottolineato Di Prato. “Se segnali in questa direzione non ci saranno, noi continueremo – anche dopo la pausa estiva – a raccogliere le firme per tenere accesa la fiaccola del cambiamento”. Il problema, che si è posto negli ultimi tempi, riguarda la norma che prevede che le firme per richiedere l’indizione di un referendum non possano essere depositate in Cassazione nell’anno anteriore alla scadenza del mandato delle due Camere (Art.31 della Legge in materia referendaria 25 maggio 1970, n. 352). Il Comitato promotore – su questo punto – si è rivolto ad 11 giuristi esperti in diritto costituzionale, che hanno dato parere favorevole sulla validità della raccolta. Secondo gli esperti, la raccolta firme non è limitata soltanto al periodo di tre mesi dalla “prima data” di vidimazione dei fogli, ma il promotore di un qualsiasi referendum può sempre richiedere agli uffici competenti la vidimazione di altri fogli. Ciò significa, in pratica, che la raccolta firme dura tre mesi per ognuno dei fogli vidimati. Sempre secondo i Costituzionalisti, nei periodi in cui è vietato il deposito delle firme, i fogli vidimati e firmati non perdono efficacia e possono essere depositati nel momento in cui riparte il periodo nel quale è ammesso il deposito. Per tutti questi motivi, Unione Popolare, ha dichiarato che ha deciso di proseguire, da settembre in poi, nella raccolta firme in tutta Italia. Va ricordato che, dopo che tutte le firme certificate saranno consegnate in Cassazione a gennaio 2013, se queste saranno ritenute valide, la parola passerà alla Corte Costituzionale, la quale dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità del quesito referendario entro gennaio 2014. La procedura, quindi, sarà lunga e sarà necessario aspettare e pazientare. Ecco perché il Comitato promotore si appella direttamente a Governo e Camere chiedendo di rispettare la volontà popolare decurtandosi immediatamente lo stipendio, senza aspettare la consultazione popolare vera e propria. “In una democrazia compiuta si deve necessariamente tener conto del parere diffuso di chi, costituzione alla mano, è ritenuto detentore della sovranità” dichiara il Comitato promotore. “E’ giunto il momento che i nostri cari politici, tra i più pagati al mondo, facciano autonomamente ciò che i tanti cittadini italiani hanno chiesto firmando il referendum. Sarebbe un passo decisivo che, in ordine cronologico, produrrebbe tre tipi di effetti: scongiurerebbe la celebrazione di un referendum, coi relativi costi; rappresenterebbe un gesto di civiltà e di grande responsabilità verso il Paese che soffre; ed, infine, eviterebbe l’acuirsi di una già stratificata avversione proveniente da larghissimi strati della popolazione di questo Paese”.
sabato 11 agosto 2012
Decretazione d'urgenza: il governo Monti a quota 29, quasi il doppio rispetto a Berlusconi
Giorgio Napolitano, rinnovando la propria preoccupazione per un ricorso eccessivo ai decreti legge, parla di "emergenze e urgenze senza precedenti", che hanno di fatto costretto il Berlusconi quater negli ultimi mesi di vita e ora l'esecutivo guidato da Mario Monti a mettere mano massicciamente alla decretazione d'urgenza. Ma e' un fatto che in questa legislatura l'esecutivo dei tecnici ha battuto quello politico del Cavaliere, con un 'bottino' di 29 decreti legge in soli otto mesi (come si ricava dal sito del governo), pari ad una media di 3,6 provvedimenti al mese, quasi il doppio rispetto alla media mensile (1,9) per il Berlusconi quater (maggio 2008-novembre 2011), che in 42 mesi di vita ha 'prodotto' 80 decreti legge. Decretazione d'urgenza, quella cui ha fatto ricorso il governo dei 'tecnici' (l'ultimo decreto e' quello sull'Ilva di Taranto) che non e' solo servita a parare l'assalto dello spread, ma che e' stata lo strumento con cui Monti e i suoi ministri hanno fronteggiato altre emergenze, come quella del sovraffollamento delle carceri o il terremoto che ha colpito l'Emilia, e attraverso il quale l'esecutivo ha accelerato l'iter di provvedimenti decisivi per la sua politica economica e sociale come il provvedimento per la riforma del mercato del lavoro. Il confronto si limita alla legislatura in corso, mentre nel passato lo stesso Berlusconi ha fatto ricorso in modo ben piu' massiccio alla decretazione d'urgenza. Nella XIV legislatura, infatti, il secondo e terzo governo Berlusconi hanno registrato una media superiore a quella del governo dei tecnici: 217 decreti, ossia 3,6 al mese, ma in un arco temporale di ben 60 mesi. Il secondo governo Prodi (17 maggio 2006-6 maggio 2008) ha emanato 47 decreti legge in 24 mesi, con una media di 1,9 provvedimenti di decretazione d'urgenza ogni mese. Se invece il confronto si limita ai primi dodici mesi di attivita' dell'esecutivo, traguardo che Monti non ha ancora raggiunto, i dati vedono in cima alla graduatoria Berlusconi con 54 decreti nella XIV legislatura e 35 in quella in corso, seguito da Prodi con 26 decreti dal 17 maggio 2006 al 16 maggio 2007.
Crimini di guerra del nazifascismo. Cassazione contro l'Aja: in particolare la magistratura italiana non condivide il verdetto con il quale l'Aja ha riconosciuto l'immunità di Berlino è l'impunità per i crimini commessi
La Cassazione non condivide il verdetto con il quale la Corte internazionale dell'Aja, il 3 febbraio su ricorso della Germania, ha riconosciuto l'immunità a Berlino per le stragi naziste commesse in Italia nel 1943-1945, perché ritiene che in questo modo si «cagiona null'altro che l'impunità» degli Stati responsabili di «crimini contro l'umanità».
Tuttavia, i supremi giudici hanno ammesso di essere in minoranza, in Europa, a pensarla così e hanno affermato di voler rispettare il parere dell'Alta Corte fino a quando il punto di vista italiano non avrà la «necessaria condivisione».
Il diplomatico 'obbedisco' della magistratura italiana - che così rinuncia ad avere dalla Germania, per via giudiziale, i risarcimenti per le vittime italiane del Reich - è nelle motivazioni della sentenza 32139 della Prima sezione penale, depositate giovedì 9 agosto e relative all'udienza sull'eccidio di Fivizzano e Fosdinovo (Massa, 350 morti) svoltasi il 30 maggio.
In quell'occasione, per la prima volta, è stata 'delibata', nel nostro ordinamento, la pronuncia dell'Aja sollecitata dalla cancelliera Angela Merkel.
Ora, leggendo la sentenza scritta dal consigliere Maria Cristina Siotto, si è appreso che i supremi giudici hanno espresso una sorta di 'non capisco, ma mi adeguo', e che non hanno cambiato idea: per certi crimini gli Stati 'colpevoli' devono sempre risponderne davanti a un giudice senza affidarsi alle compensazioni stabilite per via diplomatica, come avverrà adesso con tavoli bilaterali italo-tedeschi.
«Le espressioni di pieno consenso alle posizioni della Corte italiana da parte di autorevole parte della dottrina e lo stesso sintomatico emergere di posizioni dissenzienti nella pronunzia della Corte internazionale», ha scritto la Cassazione «non fanno escludere che, in avvenire, il principio del necessario ritrarsi della immunità per gli stati che agiscano 'jure imperii', quando l'azione incida sui diritti individuali di rilievo primario per i cittadini, possa essere in tutto, o in parte, acquisito dalla Comunità internazionale».
Tuttavia, i supremi giudici hanno ammesso di essere in minoranza, in Europa, a pensarla così e hanno affermato di voler rispettare il parere dell'Alta Corte fino a quando il punto di vista italiano non avrà la «necessaria condivisione».
Il diplomatico 'obbedisco' della magistratura italiana - che così rinuncia ad avere dalla Germania, per via giudiziale, i risarcimenti per le vittime italiane del Reich - è nelle motivazioni della sentenza 32139 della Prima sezione penale, depositate giovedì 9 agosto e relative all'udienza sull'eccidio di Fivizzano e Fosdinovo (Massa, 350 morti) svoltasi il 30 maggio.
In quell'occasione, per la prima volta, è stata 'delibata', nel nostro ordinamento, la pronuncia dell'Aja sollecitata dalla cancelliera Angela Merkel.
Ora, leggendo la sentenza scritta dal consigliere Maria Cristina Siotto, si è appreso che i supremi giudici hanno espresso una sorta di 'non capisco, ma mi adeguo', e che non hanno cambiato idea: per certi crimini gli Stati 'colpevoli' devono sempre risponderne davanti a un giudice senza affidarsi alle compensazioni stabilite per via diplomatica, come avverrà adesso con tavoli bilaterali italo-tedeschi.
«Le espressioni di pieno consenso alle posizioni della Corte italiana da parte di autorevole parte della dottrina e lo stesso sintomatico emergere di posizioni dissenzienti nella pronunzia della Corte internazionale», ha scritto la Cassazione «non fanno escludere che, in avvenire, il principio del necessario ritrarsi della immunità per gli stati che agiscano 'jure imperii', quando l'azione incida sui diritti individuali di rilievo primario per i cittadini, possa essere in tutto, o in parte, acquisito dalla Comunità internazionale».
Giustizia: i tribunali tagliati passano da 37 a 31
220 sedi distaccate di tribunale e 667 uffici di giudici di pace soppressi, 31 tribunali e 31 procure ridotte e accorpate. E' il testo finale del decreto legislativo di revisione delle circoscrizioni giudiziarie licenziato ieri dal Consiglio dei ministri, che prevede anche la ridistribuzione sul territorio del personale amministrativo e dei magistrati restanti, per i quali non sono previsti né esuberi né messa in mobilità. Nella versione definitiva viene dunque ridotto il numero di tribunali tagliati.
Nel corso delle audizioni parlamentari e nel parere del Csm, si legge in una nota di Palazzo Chigi, era emersa la preoccupazione che la soppressione di tribunali in alcune aree potesse comportare rischi sul fronte della lotta alle mafie. Un terreno questo, ha sottolineato il ministro della Giustizia Paola Severino, su cui il Governo non intende in alcun modo arretrare, neanche sul piano simbolico.
Così il Governo ha deciso di mantenere i presidi giudiziari nelle aree ad alta infiltrazione di criminalità organizzata: Caltagirone e Sciacca in Sicilia; Castrovillari (a cui sarà accorpato il tribunale di Rossano), Lamezia Terme e Paola in Calabria; Cassino (a cui sarà accorpata la sezione distaccata di Gaeta) nel Lazio. Inoltre ha deciso di dotare di un ufficio di Procura anche il Tribunale di Napoli nord.
Rispetto alla previsione iniziale, è stato mantenuto un giudice di prossimità in sette isole, Ischia, Capri, Lipari, Elba, La Maddalena, Procida, Pantelleria, in modo da consentire anche l'eventuale deposito di atti urgenti in casi di irraggiungibilità dalla terraferma.
Nel corso delle audizioni parlamentari e nel parere del Csm, si legge in una nota di Palazzo Chigi, era emersa la preoccupazione che la soppressione di tribunali in alcune aree potesse comportare rischi sul fronte della lotta alle mafie. Un terreno questo, ha sottolineato il ministro della Giustizia Paola Severino, su cui il Governo non intende in alcun modo arretrare, neanche sul piano simbolico.
Così il Governo ha deciso di mantenere i presidi giudiziari nelle aree ad alta infiltrazione di criminalità organizzata: Caltagirone e Sciacca in Sicilia; Castrovillari (a cui sarà accorpato il tribunale di Rossano), Lamezia Terme e Paola in Calabria; Cassino (a cui sarà accorpata la sezione distaccata di Gaeta) nel Lazio. Inoltre ha deciso di dotare di un ufficio di Procura anche il Tribunale di Napoli nord.
Rispetto alla previsione iniziale, è stato mantenuto un giudice di prossimità in sette isole, Ischia, Capri, Lipari, Elba, La Maddalena, Procida, Pantelleria, in modo da consentire anche l'eventuale deposito di atti urgenti in casi di irraggiungibilità dalla terraferma.
giovedì 9 agosto 2012
L’omicidio di De Mauro, il giornalista dello scoop Mattei, senza colpevoli. La Corte D’Assise assolve Riina per insufficienza di prove
Ci sono pagine della storia italiana che sbiadiscono ma non si possono voltare perché ancora troppo pesanti, perché sporche, spesso di sangue, e come tali impossibili da girare. E’ il caso del rapimento e omicidio del giornalista Mauro De Mauro e, ancora di più per certi versi, della sentenza della Corte D’Assise che martedì ha assolto l’imputato unico Totò Riina. In 2.199 pagine, i giudici della prima sezione della Corte d’assise di Palermo, il presidente del collegio Giancarlo Trizzino, a latere Angelo Pellino (estensore della motivazione) ricostruisce le fosche circostanze in cui il cronista del quotidiano “L’Ora” pagò il suo scoop sulla morte del presidente dell’Eni, Mattei, simulata da incidente aereo nei pressi di Pavia il 27 ottobre 1962. “La causa scatenante della decisione di procedere senza indugio al sequestro e all’uccisione di Mauro De Mauro – dicono i giudici – fu costituita dal pericolo incombente che egli stesse per divulgare quanto aveva scoperto sulla natura dolosa delle cause dell’incidente aereo di Bascapè, violando un segreto fino ad allora rimasto impenetrabile e così mettendo a repentaglio l’impunità degli influenti personaggi che avevano ordito il complotto ai danni di Enrico Mattei, oltre a innescare una serie di effetti a catena di devastante impatto sugli equilibri politici e sull’immagine stessa delle istituzioni“. Mauro De Mauro era un giornalista del quotidiano L’Ora, nel 1962 prima, e nel 1970 poi aveva seguito i poco chiari eventi circostanziali la morte del presidente dell’Eni di allora, Enrico Mattei. E’ stato subito chiaro per tutti che l’operato del giornalista era scomodo e pericoloso perché dopo aver tracciato la cronaca di quello, che per quasi tutti, è un delitto e non un incidente, a distanza di anni, nel 1970 appunto, riaprì il caso pubblicando materiale inedito e scottante. Quando si seppe, tramite le confessioni del pentito di mafia Melchiorre Allegra, che “ De Mauro era un cadavere che camminava. Cosa Nostra era stata costretta a ‘perdonare’ il giornalista perché la sua morte avrebbe destato troppi sospetti, ma alla prima occasione utile avrebbe pagato anche per quello scoop. La sentenza di morte era solo stata temporaneamente sospesa” al giornale si decise di “dirottare” De Mauro su argomenti meno delicati, come lo sport. Non bastò, la sera del 16 settembre 1970, il giorno prima del matrimonio della figlia, fu rapito e mai più ritrovato; le fonti più macabre raccontano che il cadavere del giornalista sia da rintracciare in uno dei piloni dell’autostrada A19 in costruzione in quel periodo, ma è un’ipotesi mai verificata. Ciò che sconforta di questa vicenda, è l’assoluzione di Riina che, per quanto stia già pagando per i propri crimini, non viene riconosciuto colpevole di un delitto che francamente è difficile non attribuirgli, se non a lui, ai suoi uomini di fiducia. L’idea che non sia collegato a Riina questo omicidio propone scenari raccapriccianti che sono stati detti senza mezze misure dalla figlia del giornalista, Franca: “Sono molto turbata per l’assoluzione di Riina. E se i depistaggi su mio padre fossero dello Stato?” Già, il dubbio può sorgere, la verità sul caso Mattei non si è mai saputa, con ogni probabilità è una vicenda anche più grande della nostra realtà nazionale, visti gli interessi petroliferi in gioco, ma questa sentenza non fa altro che aumentare le ombre su una delle vicende più tristi del dopoguerra italiano. Ad ogni modo queste resteranno solo illazioni, secondo Pellino infatti “La natura e il livello degli interessi in gioco rilancia l’ipotesi che gli occulti mandanti del delitto debbano ricercarsi in quegli ambienti politico-affaristico-mafiosi su cui già puntava il dito il professor Tullio De Mauro (fratello del giornalista, ndr) nel 1970. E fa presumere che di mandanti si tratti e non di una sola mente criminale. Non per questo deve escludersi qualsiasi responsabilità di elementi appartenenti a Cosa Nostra, stante il livello di compenetrazione all’epoca esistente e i rapporti di mutuo scambio di favori e protezione tra l’organizzazione mafiosa e uomini delle istituzioni ai più disparati livelli“. La giustizia ha i suoi tempi, speriamo che coincidano con quelli della verità, soprattutto per la figlia Franca e la famiglia del giornalista.
Ecco come cambia il lavoro degli avvocati: le nuove regole della riforma delle professioni
Come cambierà la vita dei quasi 200mila avvocati italiani? Il Governo ha varato la riforma delle professioni, senza fare eccezioni per i legali. Che hanno già annunciato scioperi per settembre. Protestano contro la rinnovata geografia giudiziaria, le nuove norme sul processo civile e altre questioni teniche. E soprattutto contro “l’omologazione” con le altre professioni. Anche il governo Monti ha salvato, però, gli Ordini che, in una prima ipotesi, avrebbero dovuto scomparire in nome della liberalizzazione delle professioni. E molta parte dell’attuazione della riforma varata dal consiglio dei ministri venerdì 3 agosto dipenderà proprio dagli Ordini.
Tirocinio libero. Non è più obbligatorio, a meno che non prevedano le norme dell’ordine di riferimento. Come nel caso degli avvocati. Ma il periodo di “apprendistato” si riduce da 24 a 18 mesi massimo e può cominciare sei mesi prima della laurea.
Assicurazione obbligatoria. Tutti i professionisti dovranno avere una polizza di responsabilità civile ma l’obbligo sarà effettivo fra un anno. Sono previste convenzioni, ma potranno farle solo gli Ordini e le Casse professionali.
La pubblicità. Un tema scottante quello della promozione delle attività dei professionisti, che da tempo provoca scontri e polemiche. Forse perché è quello che più darebbe impulso alla concorrenza, finora vista come fumo negli occhi. La riforma del governo Monti stravolge regole e abitudini. Il decreto prevede la “pubblicità informativa” anche per il singolo legale. Con qualche limite: non deve violare il segreto professionale, non deve essere ovviamente ingannevole e deve essere “funzionale all’oggetto”. Che, detto in altri termini, significa un freno alle iniziative più spregiudicate (tipo offerte speciali) e ai personaggi più coloriti. Ma diventa finalmente possibile promuovere le specializzazioni, i titoli, la struttura di uno studio, le tariffe.
Formazione continua. Come accadeva già per i commercialisti, l’aggiornamento diventa obbligatorio. Un impegno nuovo per il singolo professionista e per gli studi che dovranno organizzarsi, anche se quelli più strutturati hanno già programmi di formazione interna.
Toccherà all’Ordine stabilire modalità, contenuti ed eventuali sanzioni. Ma anche le Regioni potranno stabilire regole e risorse per corsi e scuole relative al tirocinio.
Toccherà all’Ordine stabilire modalità, contenuti ed eventuali sanzioni. Ma anche le Regioni potranno stabilire regole e risorse per corsi e scuole relative al tirocinio.
Avvocato e impiegato. Anche i dipendenti pubblici potranno fare gli avvocati, indipendentemente dal tipo di contratto con cui sono stati assunti.
Disciplina e indipendenza. Per ridurre l’autoreferenzialità degli Ordini, dove controllori e controllati coincidono, i componenti dei collegi disciplinari saranno nominati dal presidente del Tribunale di zona, che potrà scegliere in una lista di nomi, fornita comunque dall’Ordine, di numero doppio rispetto a quelli da selezionare.
lunedì 6 agosto 2012
Quanto la cartella esattoriale è valida anche senza avviso bonario? Lo ha chiarito una sentenza della Corte di Cassazione.
E’ illegittima la cartella di pagamento se non viene notificato al contribuente l’avviso bonario con il rispettivo errore
La Corte di cassazione, con la sentenza numero 13343 del 26 luglio scorso, ha accolto il ricorso proposto dall’amministrazione finanziaria. La ricorrente si duole del fatto che i giudici di appello abbiano condizionato l’esito del controllo automatizzato sulla dichiarazione ad una previa comunicazione al contribuente, attribuendo a tale comunicazione il carattere sostanziale di condizione di procedibilità, per quanto si fosse trattato di mera omissione o ritardo di versamento di quanto auto liquidato in dichiarazione. I giudici di legittimità ritengono manifestamente fondata la doglianza e affermano che la cartella esattoriale emessa in esito al controllo automatizzato sulla dichiarazione è lecita senza la notifica dell’avviso bonario solo se tale dichiarazione non contiene errori. Invece, nel caso in cui ve ne siano,la procedura di riscossione necessita dell’atto prodromico da trasmettere al contribuente. A fondamento di ciò, i giudici di Piazza Cavour, richiamano la pregressa giurisprudenza, secondo la quale“l’emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dagli artt.36 – bis, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 (in materia di tributi diretti) e 54-bis, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 (in materia di IVA) non è condizionata dalla preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente, salvo che il controllo medesimo non riveli l’esistenza di errori essendovi, solo in tale ipotesi di irregolarità riscontrata nella dichiarazione, l’obbligo di comunicazione per la liquidazione d’imposta, contributi, premi e rimborsi”. La cartella esattoriale è valida, anche senza avviso bonario nel caso in cui non esistano dubbi, errori, o incertezze in merito alla maggiore imposta accertata dall’ufficio che il contribuente è chiamato a versare. Nel caso in questione il contribuente non solo è stato chiamato a pagare la cartella, ma anche le spese di giudizio.
La Corte di cassazione, con la sentenza numero 13343 del 26 luglio scorso, ha accolto il ricorso proposto dall’amministrazione finanziaria. La ricorrente si duole del fatto che i giudici di appello abbiano condizionato l’esito del controllo automatizzato sulla dichiarazione ad una previa comunicazione al contribuente, attribuendo a tale comunicazione il carattere sostanziale di condizione di procedibilità, per quanto si fosse trattato di mera omissione o ritardo di versamento di quanto auto liquidato in dichiarazione. I giudici di legittimità ritengono manifestamente fondata la doglianza e affermano che la cartella esattoriale emessa in esito al controllo automatizzato sulla dichiarazione è lecita senza la notifica dell’avviso bonario solo se tale dichiarazione non contiene errori. Invece, nel caso in cui ve ne siano,la procedura di riscossione necessita dell’atto prodromico da trasmettere al contribuente. A fondamento di ciò, i giudici di Piazza Cavour, richiamano la pregressa giurisprudenza, secondo la quale“l’emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dagli artt.36 – bis, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 (in materia di tributi diretti) e 54-bis, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 (in materia di IVA) non è condizionata dalla preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente, salvo che il controllo medesimo non riveli l’esistenza di errori essendovi, solo in tale ipotesi di irregolarità riscontrata nella dichiarazione, l’obbligo di comunicazione per la liquidazione d’imposta, contributi, premi e rimborsi”. La cartella esattoriale è valida, anche senza avviso bonario nel caso in cui non esistano dubbi, errori, o incertezze in merito alla maggiore imposta accertata dall’ufficio che il contribuente è chiamato a versare. Nel caso in questione il contribuente non solo è stato chiamato a pagare la cartella, ma anche le spese di giudizio.
L’impugnazione riguardava una cartella di pagamento relativa al controllo della dichiarazione 770S/2008 e UNICO/2008. Il contribuente contestava la cartella di pagamento perché non preceduta da avviso bonario, richiamando la violazione dell’articolo 6 della legge 212/2000 (Statuto del contribuente). Questo recita infatti che «prima di procedere alle iscrizioni a ruoloderivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta», mentre «sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma». Nella disposizione si legge chiaramente che la norma vale «qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione», mentre nel caso specifico non vi era alcuna incertezza, avendo lo stesso contribuente ammesso di aver versato minori imposte rispetto a quanto dovuto e dichiarato giustificando i mancati versamenti con la riduzione della liquidità aziendale dovuta alla crisi economica, motivazione che però «non soddisfa i requisiti della causa di forza maggiore siccome prevista dall’ordinamento». Dunque la cartella è valida e adeguatamente motivata, e non necessita in questi casi dell’avviso bonario.
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