E’ stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 153 del 3 luglio 2012 la Legge n. 92 del 28 giugno 2012 recante le disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, la cosiddetta “riforma Fornero”.
La riforma, approvata definitivamente dal Parlamento il 27 giugno scorso ha generato commenti di ogni specie, e del tenore vario. Si impone dunque una riflessione tecnica sui suoi contenuti, soprattutto per quel che riguarda il suo perno fondamentale, vale a dire la modifica dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Al di là dell’atteso tasso di ideologia che si riscontra in ogni dove, ritengo sia importante affermare subito che – seppure perfettibile come ogni opera dell’umano ingegno – questa riforma non sia da considerare pessima.
Ai critici più sfegatati, anche di parte aziendale, ricordo poi che, così come la natura, anche il nostro diritto (e tanto più quello del lavoro) non facit saltus. Non era infatti realistico immaginare che la tanto attesa riforma dell’articolo 18 potesse mutare completamente di segno questo articolo e privare i lavoratori della garanzia che per più di 40 anni ha caratterizzato la loro posizione.
La legge tocca molteplici aspetti del mercato del lavoro, sia – come si usa dire – la c.d. flessibilità in entrata (con la riforma del contratto di apprendistato, dei co.co.pro. e dei contratti a termine) sia quella in uscita (la riforma, appunto, dell’art. 18).
Se l’obiettivo della norma è quello di realizzare un mercato del lavoro più flessibile dovremo attendere del tempo prima di poterla giudicare compiutamente. Vediamo ora come si articola la disciplina dei licenziamenti post riforma (vale a dire, dal 18 di luglio prossimo).
Le conseguenze del licenziamento illegittimo
La riforma distingue la tutela del lavoratore nei seguenti casi:
a) licenziamento nullo (vale a dire discriminatorio o in presenza di causa di divieto, ad esempio: licenziamento della lavoratrice madre) o intimato in forma orale: le conseguenze rimangono la reintegrazione (indipendentemente dal numero di dipendenti dell’azienda - la reintegra potrà essere sostituita, a scelda del lavoratore, con una indennità pari a 12 mesi di retribuzione) e un’indennità, a titolo di risarcimento del danno, pari alle retribuzioni perse e, comunque, non inferiore a 5 mensilità
b) licenziamento illegittimo per mancanza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo (licenziamento disciplinare)
- solo se il fatto contestato è insussistente o rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti o dei codici disciplinari, le conseguenze saranno la reintegrazione e un’indennità pari a un massimo di 12 mensilità;
- negli altri casi, non opera più la reintegrazione e l’indennità sarà determinata tra le 12 e le 24 mensilità.
c) licenziamento illegittimo per mancanza di giustificato motivo oggettivo (e questo è il vero punto nodale della riforma, il c.d. licenziamento per motivi economici): non opera più la reintegrazione e l’indennità risarcitoria oscilla tra le 12 e le 24 mensilità. La determinazione dell’ammontare di tale indennità non opera più la reintegrazione e l’indennità sarà determinata dal giudice in considerazione all’anzianità di servizio del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti.
Un caveat importante, sul punto, riguarda la procedura del licenziamento economico. Prima infatti di intimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo il datore di lavoro deve obbligatoriamente esperire una procedura di conciliazione innanzi la Commissione Provinciale di Conciliazione presso la Direzione Territoriale del Lavoro. Questa disposizione certamente impatterà la fluidità dei licenziamenti.
Si badi bene che, sebbene non siano mutati i termini di impugnazione, è stato però ridotto il termine entro cui deve essere depositato il ricorso nella cancelleria del tribunale o deve essere comunicata la richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato (da 270 a 180 giorni).
Rito per i licenziamenti
La riforma introduce anche un rito speciale per l’impugnazione dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 St. lav., anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro.
Il procedimento si volge essenzialmente in due fasi:
- una prima fase volta ad assicurare una tutela urgente al lavoratore, in cui il giudice fissa l’udienza entro 40 giorni dal deposito del ricorso (attualmente 60 giorni), e può omettere ogni formalità non essenziale al contraddittorio e decide con un’ordinanza immediatamente esecutiva;
- una seconda eventuale che inizia con l’opposizione all’ordinanza di accoglimento o di rigetto entro 30 giorni dalla comunicazione della decisione.
Entro 30 giorni dalla comunicazione della decisione del Tribunale sull’opposizione, può presentarsi reclamo davanti alla Corte d’Appello. Infine in ultima istanza può presentarsi ricorso alla Corte di Cassazione entro 60 giorni dalla decisione della Corte d’Appello.
Sulla carta, dunque, un ulteriore snellimento del rito del lavoro che, in linea di massima, è già più rapido dei procedimenti ordinari.
Come si nota da questa breve panoramica, la riforma è profonda e sostanziale e non organica. Alcune delle disposizioni necessiteranno degli emendamenti e delle piccole riforme per consentire una migliore applicazione e omogeneità della normativa.
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